VIAGGIO 2013
“Fra qualche anno avremo più rimpianti per le cose non realizzate che per
quelle realizzate e allora spiega le vele, esci dagli ormeggi tranquilli e vai” (Mark Twain)
E’
il 9 agosto 2013 e sono in Congo, veniamo qui dal 2007, in questo paese così
particolare fra le terre povere delle periferie più remote.
All’aeroporto
di Kinshasa (ieri 8 agosto) mi aspettava Don Jean Pierre (sacerdote congolese
cappellano a Cascia di Reggello), che mi ha preceduto di qualche giorno. I
Cinesi qui, dal 2012, hanno portato qualche cambiamento: l’aeroporto
è un po’ più ordinato, non c’è più il caos degli anni passati e l’impatto con questa realtà, almeno in uno
scalo internazionale, è un po’ meno forte. I Cinesi vengono in Congo
soprattutto per l’estrazione del coltan (materiale indispensabile per gli
apparecchi elettronici), la malachite ed i diamanti, che rivendono nelle gioiellerie di Hong Kong e di Bangkok. Da questo business lo Stato incassa molti soldi che però non
reinveste certo per migliorare la vita dei Congolesi: niente acqua, niente
elettricità, niente di niente; basti pensare che gli insegnanti sono pagati 50
$ al mese e i medici 60 (sempre che vengano retribuiti …), ma questa è un’altra
storia.
A
Kinshasa ho alloggiato dalle Suore CIMKA (la congregazione religiosa da cui dipende l’orfanotrofio di Kanjuka), ho
rivisto e riabbracciato con commozione Jeacques, il ragazzo di 18 anni che Agata sta aiutando per frequentare
l’università di informatica. Questo ragazzo, orfano dalla nascita, rappresenta
per noi la speranza che qualche cambiamento può avvenire: è bello, volenteroso,
desideroso di apprendere e di costruirsi un futuro, sogna di terminare gli studi universitari, di
lavorare, avere la famiglia che non ha mai avuto, poter aprire gli occhi su un
mondo diverso. Anche lui si è commosso nell’abbracciarmi ed insieme abbiamo
parlato dei passi che lo attendono per andare verso quel futuro tanto sognato.
Oggi sono a Kananga (è qui che l’Associazione realizza
la maggior parte dei progetti). Come
ogni anno abbiamo portato i medicinali (essendo sola, ho potuto portare solo 80
kg. di farmaci). Abbiamo effettuato (io e Don Jean Pierre) le consegne ad
alcuni orfanotrofi, ospedali e dispensari; per queste medicine ringraziamo di
cuore il Centro Missionario Medicinali,
che ogni anno ci aiuta a compiere questa missione: le medicine qui sono preziose, perché si può morire anche per una banalissima
malattia. E’ stato bello rivedere tutti i bambini, in particolare Mosè, un
bambino che le suore, 5 anni fa, hanno trovato abbandonato in un campo fra le
capre (oggi dovrebbe avere 5 anni e
mezzo). Fino all’anno scorso le sue condizioni di salute erano davvero critiche
(pancia gonfia, crescita bloccata, non parlava)… Ora è cresciuto, parla, è un bambino come il suo
amico Gilberto (adottato a distanza da Anna), come Gioacchino e Gioele, sono
diventati inseparabili: questo miracolo è stato possibile con il vostro aiuto,
grazie al quale Padre Ugo ha potuto far curare Mosè nell’Ospedale di Kinshasa. Siamo
serviti a qualcosa: grazie! In questi piccoli riponiamo le speranze che in
questo Paese qualcosa possa cambiare. La nostra associazione ha lo scopo di
aiutare questi bambini a diventare
uomini e donne dignitosi ed autonomi, soprattutto con la realizzazione di progetti rivolti alla alimentazione, all’istruzione
ed alla sanità.
Siamo
felici di essere riusciti ad acquistare la moto taxi per l’orfanotrofio, che
verrà data in locazione a terzi e grazie alla quale le suore potranno ricavare settimanalmente un reddito per le esigenze primarie dei
bambini, sempre tanti, che ci hanno
accolto in un clima di grande festa.
Abbiamo
anche comprato i materassi, sostituendo quelli ormai del tutto consumati.
Ma soprattutto, è stata una gran festa quando
abbiamo consegnato ai bambini i palloni e le scarpe. Questi acquisti sono stati
fatti grazie al contributo della classe IV “B” della scuola Mazzini di Rufina:
i bambini, in occasione della loro comunione, hanno rinunciato ad un regalo a
favore dei coetanei congolesi. Grazie!
Per loro si è trattato di regali
speciali (qui il pallone di plastica è l’unico giocattolo che i bambini conoscono,
oltre a quelli fatti di pezza), ricevuti da voi ed a voi, bambini, rivolgiamo l’augurio che possiate essere sempre promotori
di solidarietà e di uguaglianza.
Anche
quest’anno sono stati piantati i semi che abbiamo portato dall’Italia
(pomodori, carote, insalata, melanzane, zucchine, ecc.), ci sono stati donati
dal Mulino di Poggio a Vico. Grazie! E’ un gesto che ha anche un valore
simbolico (piantare un seme …) ed è anche
questo un modo per farli diventare autonomi.
Sono
stati acquistati i materassi per il reparto maternità dell’ospedale San Georges
di Kananga (l’anno scorso avevamo comprato i letti). Con i letti completi di
materasso, il reparto è stato inaugurato: ha un aspetto discreto, anche se
mancano ancora moltissime cose … ma l’importante è che cominci a funzionare …
Ogni
anno si aggiungono infiniti bisogni fondamentali di queste persone prive
di qualunque cosa e la nostra paura di non poter andare avanti è tanta, ma poi
guardando i bambini riprendiamo forza e proseguiamo, goccia dopo goccia,
confidando sempre nella Provvidenza e nell’aiuto delle persone che ci conoscono
e che avranno modo di conoscere la nostra associazione.
Quest’anno,
con Don Jean Pierre, sono andata nella foresta per conoscere una comunità di
Pigmei. Non ci sono parole: strade non percorribili, sorgenti d’acqua
lontanissime dal villaggio; bambini che sbucano da ogni parte e ti guardano, ti
parlano (ma il loro dialetto è incomprensibile). Qui ogni mese viene Padre
Augustin (anche Lui era con noi) per
portare la Parola del Vangelo, ascoltarli e parlare con loro. Ci sono solo
capanne, non ci sono scuole ed i giorni scorrono tutti uguali sia per i grandi
che per i piccoli nello sforzo di sopravvivere. Gli abitanti dei villaggi
vicini (si fa per dire, perché qui le distanze sono oceaniche) si rifiutano il
più delle volte di macinare il loro mais, perché i Pigmei sono considerati una
minoranza (quindi sono, se possibile, ancora più emarginati). Abbiamo
acquistato per loro lo stampo per fare i mattoni, accette e zappe. Per queste
poche cose hanno fatto una grande festa, il capo del villaggio ci ha augurato
tanta salute (e ci ha regalato una capra!). Anche qui i bambini ti prendono il
cuore, scorgi nei loro sguardi la meraviglia nel vederti così diverso da loro,
qualcuno ha paura, altri, più intraprendenti, vengono per salutarti ed allora
anch’io, sorridente e con la mano tesa
per salutarli a mia volta, mi sento una di loro ed insieme inizio la mia goffa danza di benvenuto.
Ritornando
ai bambini dell’orfanotrofio di Kananga, sono state acquistate le divise per la
scuola. Le aule che abbiamo costruito (ancora poche) funzionano a pieno ritmo e
la scuola è stata riconosciuta dallo Stato. Ci auguriamo di poter realizzare la
costruzione delle aule mancanti.
Sono
stati acquistati anche utensili
(accette, zappe, ecc.), che serviranno alle donne del villaggio per
alleviare la loro fatica nella lavorazione della terra.
Sulla
strada del ritorno dal Congo, mi sono fermata 6 giorni ad Addis Abeba da Padre
Marco (missionario comboniano cresciuto con i miei figli) e con Lui sono stata
nel villaggio dei Gumuz (una minoranza etiope, da Lui evangelizzata). Padre Marco
ha lavorato tanto con questa comunità, ha costruito scuole e ostelli per l’accoglienza; è aiutato dalle
suore francescane, da altri missionari e da tanti giovani del luogo
evangelizzati, che sono diventati a loro volta evangelizzatori ed ogni giorno raggiungono villaggi in cui manca tutto. La gente vive in
capanne, dentro c’è di tutto, compresi gli animali, il fuoco acceso, le stuoie per asciugare le
pannocchie: le norme igieniche sono inesistenti. Vecchi, giovani, bambini,
animali … tutti insieme! Non riesco ancora ad accettare queste enormi
differenze, con tutto quello che noi sprechiamo (a cominciare dall’acqua)
queste popolazioni potrebbero vivere in modo sicuramente migliore: non è giusto
che fra tante ricchezze ci sia tanta povertà, popoli che devono camminare chilometri
lungo strade e sentieri non percorribili
per tentare di vendere le loro misere cose, per andare a prendere l’acqua,
curarsi, raggiungere una scuola, là dove
questa esiste. Ognuno fa la sua parte, si alzano con il buio per portare le
bestie al pascolo (qui vivono di pastorizia) e rientrano con il primo buio,
grandi e piccoli.
Già, i
bambini … quelli del mondo occidentale, i nostri, super coccolati, super
curati, super accessoriati, super viziati … e poi gli altri: scalzi, nudi,
affamati, analfabeti, sfruttati, bambini soldato, senza diritti, affacciati
alla finestra del mondo … solo dall’altra parte …
Dicono
che le cose impossibili possono accadere … dicono …
P.S. I viaggi per e dal Congo e l’Etiopia, il trasporto dei medicinali, nonché
il contributo in denaro lasciato a Padre Marco per la Missione, non hanno in
alcun modo intaccato le somme raccolte per i progetti destinati al Congo, in
quanto sono stati a mio esclusivo carico. Lo stesso è avvenuto per tutti gli
altri viaggi umanitari.
Daniela
Viaggio 10/ 25
FEBBRAIO 2012 (Agata, Rita, Don
Jeanpierre K.)
Siamo partiti per il Congo nella notte del 9
febbraio, da Fiumicino. Le nostre
valigie erano piene di
medicinali, il cui peso superava quello consentito. Abbiamo dovuto pagare circa
1.000 euro per il peso extra ed a niente
è valso far presente che si trattava di
medicine, il Personale dell’Etiopian Aerlines è stato inflessibile sugli
importi da applicare.
Dopo una sosta nel bellissimo aeroporto di Addis Abeba, siamo partiti alla volta di Kinshasa, la capitale del Congo (circa 9.000.000
di abitanti!). Già l’aeroporto della città fa capire che si è arrivati in un
mondo la cui arretratezza non può essere nemmeno immaginata. Con la macchina,
in un traffico impazzito, abbiamo
percorso le strade di Kinshasa per arrivare alla casa dei Padri che ci hanno
ospitato. E’ stato come girare per le vie di una città infernale: dappertutto
melma, polvere, desolazione e miseria estrema; nell’aria vapori insalubri di
immondizia bruciata, di carburanti vari provenienti da ammassi di rottami
somiglianti a macchine od a furgoni,
stipati fino all’inverosimile di uomini , donne e bambini; baracche e ripari improvvisati per vivere o
vendere oggetti e servizi di qualsiasi genere.
Allo stesso tempo, si rimane impressionati dalle persone che abitano in questo inferno, dalla
dignità che traspare dai loro volti, dall’eleganza del portamento e dalla cura
degli abiti dai colori sgargianti. Ti domandi: dignità o rassegnazione?
Consapevolezza o ignoranza della propria
condizione miserevole? Non hanno nulla, ma sembrano avere tutto ciò che noi
abbiamo ed è come se non avessimo.
Abbiamo visto queste persone, uomini, donne e bambini, in pieno giorno,
muoversi in massa, indaffarati in
attività inutili, per racimolare, forse,
ciò di cui sopravvivere in giornate sempre uguali. Le abbiamo viste, il giorno
dopo, alle prime luci dell’alba, ricominciare il loro esodo perenne,
trasportare le solite misere cose, inseguendo il ciclo di un destino ineluttabile.
Siamo quindi partiti alla volta di Kananga (circa
500.000 abitanti), con un volo interno. L’aeroporto di Kananga è, se possibile,
ancora più disastrato di quello di Kinshasa. Da tutte le parti spuntano persone
che vorrebbero aiutarti in cambio di
soldi, tutti chiedono “argent” e se non sei accompagnato da gente del
luogo che sa come affrontare le varie situazioni, il rischio è di trovarti con
un mitra puntato alla tempia o di finire
derubato. Al contrario di altri Paesi dell’Africa, infatti, il Congo non
conosce il turismo, ma solo lo
sfruttamento di chi va là per concludere affari grazie alle preziose materie
prime di cui il territorio dispone o per la costruzione di opere pubbliche di
cui ancora non si vedono i minimi
risultati. Elettricità ed acquedotti
sono ancora un miraggio per il Congo. Esclusivamente nelle strutture
come ospedali, chiese, conventi, ecc., vi sono
generatori per le singole apparecchiature, la luce artificiale è
disponibile per circa un’ora al giorno (ammesso che vi siano
i soldi per comprare il carburante) e le donne passano gran parte del tempo a
trasportare acqua piovana dai depositi
alle loro misere case.
Kananga è una città diversa, più campagna che metropoli, un grande villaggio nella savana arborea,
senza strade asfaltate, la sabbia è
rossa, vi sono grandi alberi, il paesaggio è quello dell’Africa antica che hai sempre immaginato.
Ma ciò che ti colpisce a Kananga, come in tutto il Congo, sono soprattutto i bambini, tanti quanti i
fili d’erba nei campi. La maggior parte di loro non conosce l’infanzia e appena
possibile i bambini cominciano ad aiutare gli adulti nei loro duri lavori, a
camminare senza sosta ai bordi della strada, trasportando pesanti
fardelli, quando va bene si prendono
anche cura dei fratelli più piccoli.
Non ci sono giochi, libri, solo i più fantasiosi riescono a costruirsi una
palla per giocare a calcio o a far girare una ruota con un bastone.
I bambino orfani o abbandonati dai genitori trovano
spesso rifugio negli orfanotrofi. La gestione è affidata alle Suore delle
Diocesi. Abbiamo conosciuto e condiviso la miseria di due di questi
orfanotrofi: quelli dei villaggi di
Kanjuka e di Kamaj, complessivamente una sessantina di bambini. Vengono nutriti con lo stretto necessario, i
più grandi si prendono cura dei più piccoli, ma, ciò che è più importante,
frequentano la scuola che fa capo alle
Congregazioni. Alla scuola
affluiscono anche i bambini del villaggio, che altrimenti
rimarrebbero analfabeti. Uno dei
problemi più gravi per il Congo, è proprio la mancanza di istruzione per
l’assenza di scuole. A ciò si aggiunge il problema degli insegnanti, i quali
spesso non sono pagati oppure
vengono retribuiti con quel poco di denaro che solo alcune famiglie possono permettersi
di destinare alla scuola dei figli. Un
giovane professore ci ha confidato che a
causa della fame non riesce a fare
lezione. I bambini non hanno libri, è l’insegnante che istruisce direttamente i
ragazzi, a voce o scrivendo alla lavagna. I bambini copiano e trascrivono fitto
fitto su miseri quaderni, sempre che riescano ad avere una penna a
disposizione. Eppure hanno tanta voglia
di apprendere, si applicano con serierà e, nonostante la mancanza di ogni tipo
di supporto (libri, cartine geografiche, computer, penne, quaderni, etc.),
riescono a sorprendere per i risultati che
hanno dimostrato di poter raggiungere.
Uno dei bambini dell’Orfanotrofio del Bon Samaritain,
di nome Mosè, è stato trovato in un campo da una suora, quando aveva un’età imprecisata (forse un anno), in uno stato di
completo abbandono. Ora ha (forse) 5 anni, ma la statura è quella di un bambino
di 2, ha il ventre gonfio, è furbo ed intelligente, due grandi occhi e uno sguardo dolcissimo. Non parla, si limita a
ripetere semplici sillabe, ma nel periodo in cui siamo stati con lui ci ha
dimostrato che avrebbe tanta voglia di farcela. Durante la nostra permanenza a
Kananga, Mosè ha avuto dissenteria e vomito, la sua pancia si è gonfiata a
dismisura. Abbiamo convinto le Suore a portarlo all’Ospedale Generale,
ovviamente a nostre spese. Dopo aver pagato vari ticket, nel giro di 10 minuti
(lì non ci sono file di attesa, nessuno va all’ospedale per esami o visite), è
stato visitato, in una struttura fatiscente e priva di tutto, da un’”equipe” di
medici (o comunque Personale in camice bianco), coordinati da una specie di
“santona” con un turbante in testa e senza camice, che, sempre rimanendo seduta
e senza mai toccare il bambino , “sentenziava” frasi dal significato per noi
oscuro. Nessuno dei medici conosceva i fermenti lattici, alla fine della visita
hanno prescritto bactrim e vermifugo.
L’unica consolazione è stata quella di poterlo abbracciare ed
accarezzare durante il tempo che siamo rimaste lì (non più di mezz’ora). L’amore e l’affetto sono una terapia importante, ma il nostro sogno è che Mosè
possa venire un periodo in Italia per avere cure mediche adeguate, perché siamo
sicuri che i suoi problemi siano risolvibili. In Burkina Faso esiste una
struttura dove i bambini con il ventre gonfio vengono ricoverati per un mese,
ricevono cure e la prescrizione di una dieta proteica che devono seguire al
rientro nelle case. Quasi sempre riescono a guarire ed è quello che noi vorremmo per Mosè, tentare di rendergli i suoi
diritti, la sua salute, la sua voce…
Poi abbiamo conosciuto Jacques, 17 anni, orfano dalla nascita, un ragazzo bello, sano, studioso, istruito, educato come chi vive in ambienti
raffinati. Studia all’Istituto Tecnico, indirizzo “informatica”, ma non vede quasi mai un computer,
conosce discretamente l’inglese ma
ha solo il dizionario. Anche Lui per noi è un sogno, un
simbolo, una speranza: aiutarlo a
costruirsi un futuro vorrebbe dire idealmente
aiutare tutti i bambini del Congo e riscattarli da un destino miserevole
che non meritano.
Vicino all’orfanotrofio, si trova un ambulatorio
medico, una specie di “ospedaletto” sul territorio, dove gli abitanti dei
villaggi circostanti si recano per cure
varie e dove le donne vanno spesso a partorire. Lo gestisce una suora della
Congregazione. Pensate che nel mese di gennaio ha effettuato 64 parti! Le
medicine che abbiamo portato sono state messe su scaffali quasi completamente
vuoti, tutto manca, tutto è arrangiato alla meno peggio.
Ma torniamo indietro, al 10 febbraio, quando pian
pianino siamo arrivati fin qui… in Congo.
Quest’anno si è aggiunta ai nostri progetti, iniziati ormai nel 2007, Agata,
cara amica e compagna volontaria dell’associazione “Agata Smeralda”, nonché
autrice del breve “reportage” che avete appena letto. Pensiamo
all’Italia alle nostre città, al nostro quotidiano frenetico e distratto, ai
nostri piccoli, coccolati spesso viziati,curati e la contrapposizione è
forte...Come potete constatare, Agata è rimasta sconvolta da quello che ha
visto e sta vivendo in questi giorni (la stessa cosa è stata vissuta da noi che
l’abbiamo preceduta nei viaggi). Continuiamo a ripetere che non è possibile,
non è possibile vivere così, senza nessuna dignità,in una terra dove le
ricchezze del sottosuolo potrebbero garantire “la vita”, viene da domandarci se
merita davvero continuare a venire per attuare questi piccoli progetti. In cuor
nostro c’è il sogno e il desiderio grande di andare avanti, ma , spesso, lo scoraggiamento
per i tanti, troppi problemi e complicazioni che ogni volta troviamo prendono
il sopravvento e …saresti tentata di mollare, ma poi pensiamo a quel poco che
abbiamo già fatto, ai tanti medicinali che ogni volta portiamo e distribuiamo
per le varie necessità. In questo viaggio i medicinali sono stati distribuiti: Ospedale
S. Georges, Don Giovanni per Ospedale Kinshasa, Orfanotrofio Bon
Samaritain-Kanjuka, orfanotrofio Kamay, Monastero Benedettino di Malandji, Suor
Angelica. Ringraziamo di vero cuore Massimo, Presidente del Centro Medicinali
Missionario, tutti i colleghi volontari che ci hanno aiutato , come ogni anno,
a prepararli (portarli non è stata un’ impresa facile, ma anche questa volta la
Provvidenza ci ha aiutato).I medicinali rappresentano un vero tesoro per queste
terre dimenticate dagli uomini dove si muore anche per banali malattie che da
noi possono essere curate facilmente. Poi pensiamo ai bambini, vedi i loro
sguardi,le loro attese e nei loro occhi scopri anche la speranza che qualcuno
possa fare qualcosa per loro, solo per loro senza pensare ad interessi propri,
senza altri secondi fini. In questo mondo, sempre più attratto da fantasmi di
vanità e potere, pensi a tutti i bambini che scavano nelle miniere, che cuciono
i palloni, che imbracciano le armi, che camminano sulle mine, bambini che
vengono spogliati dei loro sogni e allora ci vengono in mente i palloni che
ogni anno compriamo al nostro arrivo, uniti alle scarpe e ai vestiti,tutti quei
pennarelli con le penne, lapis e le gomme che li fanno sentire ricchi e felici
per quella piccola goccia che in quel momento è per loro e li vede protagonisti
e sogni un mondo che si fermi ad ascoltare le loro voci…e…riparti pianino
pianino per arrivare un po’ più in là, ringraziando tutti per l’aiuto, per
l’amicizia, per la volontà di bene e per essersi uniti a noi per farci
camminare qui in Congo…a Kanjuka, Kamay, Kinshasa, per poter continuare a
toccare i sentimenti di questi piccoli allungandoci, tirandoci, alzandoci sulla
punta dei piedi per non ferirli ancora…per aiutarli a crescere, per poter
vedere un futuro che ci auguriamo sia migliore…
…”I graffi del cuore non si vedono, si leggono…negli
occhi…”
Grazie a piene mani … twasakidila wa bunji
AGATA,ANNA,DANIELA,RITA
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